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Il viaggio è appena cominciato e già si prospetta pieno di pericoli: c’è da attraversare il Sahara, 2.000 chilometri di sabbia rovente da sorvolare senza soste, stando attente a non abbassarsi mai sotto i 3.000 metri durante il giorno per evitare la morte per disidratazione. Solo i più forti ce la faranno. E dopo il deserto c’è il mare, fino a 1.600 chilometri d’acqua anch’essi da attraversare velocemente, per arrivare finalmente in Europa... casa! 

Per fortuna c’è l’Italia, distesa come un ponte naturale tra i due continenti, che almeno facilita ai migratori il superamento del Mediterraneo.
Sono circa due miliardi gli uccelli migratori che ogni primavera ed ogni autunno attraversano il nostro paese, dai più piccoli alla grande cicogna bianca (di casa a Rozzano).
Alcuni nidificano da noi, altri passano soltanto, diretti verso nord o verso sud secondo la stagione. Tra questi almeno 38 specie di rapaci, che si concentrano in almeno 32 diversi hot spot: come lo Stretto di Messina, dove passano fino a 27.000 falchi pecchiaioli in un anno; l’isola di Marettimo, dove sono stati osservati 70 capovaccai insieme; o l’Appennino ligure, dove oltre 1.000 bianconi si ritrovano per svalicare. 


Ma è solo la punta dell’iceberg rispetto all’enorme quantità di piccoli migratori. Dall’Italia passa almeno la metà di tutti gli uccelli che attraversano il Mediterraneo per riprodursi: almeno 10 milioni di rondoni, 1.600.000 upupe, 860.000 torcicolli, 38 milioni di rondini, 31 milioni di balestrucci, 27 milioni di cutrettole, 15 milioni di usignoli e 16 milioni di balie nere.
Le aree a maggior concentrazione sono le piccole isole (che in Italia, considerando anche gli isolotti, sono ben 363) e i passi alpini.
Ed ancora, oltre un milione e 200 mila uccelli acquatici, appartenenti a più di cento specie diverse - dal fenicottero rosa (che vedi sopra ospite a Milano) al piccolo beccaccino - passano l’inverno nelle nostre zone umide, provenendo spesso da luoghi lontanissimi come la Siberia orientale.
La Laguna di Venezia è l’area che ospita il maggior numero di migratori svernanti, con oltre 100 mila individui l’anno.

L’importanza dell’Italia per le migrazioni è sancita da numerose direttive e convenzioni internazionali, dalla Direttiva Uccelli del 1979 alle Convenzioni di Bonn (1979), e di Ramsar (1971), tutte ratificate dai nostri governi.
Ma nel nostro paese i migratori corrono rischi anche mortali. La distruzione e il degrado degli habitat, spesso vitali per la sosta durante la migrazione, sono il principale fattore di minaccia.
L’espansione edilizia abitativa (anche abusiva) e delle infrastrutture industriali, lo sviluppo stradale, l’espansione delle colture intensive, l’immissione di sostanze tossiche o nocive e gli incendi sono tutti elementi che contribuiscono alla perdita di habitat per i migratori.
Se a ciò si aggiunge la crescita esponenziale di infrastrutture impattanti le cose si mettono davvero male. Ogni anno gli elettrodotti a media e alta tensione, che corrono anche nelle aree protette, uccidono, folgorandoli o a causa dell’urto con i cavi, centinaia di fenicotteri, cicogne, gufi reali, aironi e altri grandi veleggiatori.
Gli impianti eolici fanno addirittura di peggio. Si è calcolato che in Europa la mortalità dovuta alla collisione con le pale è tra 0,19 e 4,45 uccelli per aerogeneratore l’anno, ma in alcuni casi il valore riscontrato è stato addirittura di 895! Corrono più rischi i migratori notturni, soprattutto quando alla ridotta visibilità si aggiungono condizioni atmosferiche avverse.

Anche l’inquinamento luminoso fa le sue vittime. L’illuminazione notturna attira gli uccelli in migrazione e ne perturba il sistema di orientamento, tanto da farli sbattere contro le luci o le finestre illuminate o svolazzare intorno alle fonti luminose fino a estenuarsi, specie in condizioni di nebbia o cielo coperto. Basta vedere quanti migratori notturni sostano al suolo vicino all’aeroporto di Malpensa, compresi molti che, dato il peso e il livello del grasso, non dovrebbero fermarsi lì, ma essere in migrazione attiva.

Di recente in Italia è stato abolito il divieto assoluto di caccia dopo il 31 gennaio. Già dai primi di febbraio, però, molte specie sono impegnate nella migrazione verso i territori riproduttivi, soprattutto gli adulti più esperti che anticipano il resto delle popolazioni.
Cacciando oltre il mese di gennaio non solo si andrebbe contro le direttive comunitarie, che escludono categoricamente il prelievo venatorio durante la migrazione, ma si intaccherebbe gravemente la componente riproduttiva più importante di una popolazione (gli adulti esperti), quel “capitale” che maggiormente contribuisce alla produttività degli “interessi” (i giovani dell’anno).
Inoltre, la caccia priverebbe i migratori, che già sono in condizioni di critiche di stress fisiologico, di quelle aree di sosta vitali per la sopravvivenza. 

E poi c’è il bracconaggio, il saturnismo (ovvero l’avvelenamento da piombo degli uccelli acquatici a causa dell’ingestione dei pallini da caccia dispersi nelle aree umide), l’impatto con i veicoli e persino con gli aerei.
Alla fine almeno una buona metà degli uccelli che partono dai territori di svernamento in primavera, o di riproduzione in autunno, non arriverà mai.

Le nostre rondini arriveranno a maggio, almeno quelle scampate al viaggio, e si accingeranno a ricostruire i nidi dove deporre e continuare il ciclo della vita. Sempre ammesso che le stalle tra le cui travi sono nate non siano state nel frattempo sostituite da asettici capannoni per l’allevamento intensivo.

Giorgio Gori Presidente Fare, meglio
#lombardiasceglieambiente
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