Stefano Apuzzo è da oltre 15 anni impegnato in attività a favore dell'Africa. al 2003 è Presidente dell'Associazione Pro Africa, vita, salute, tecnologie e ambiente che lavora in Congo ed in Gabon. In questi Paesi centro africani sono già stati inviati container colmi di aiuti umanitari, sanitari, didattici e tecnologici.
L'ultima missione, condotta da Stefano Apuzzo, risale al luglio 2005. Al rientro dalla capitale della Repubblica Democratica del Congo, Kinshasa, una megalopoli di 12 milioni di abitanti, Apuzzo ha scritto la seguente riflessione su come dovrebbe svilupparsi la cooperazione allo sviluppo del prossimo Governo italiano (di centro-sinistra).
Africa, continente "evirato".
Spunti per una nuova Cooperazione allo sviluppo sostenibile.
A luglio 2005 si è parlato molto di Africa, il continente evirato dalla comunità internazionale, dall'attenzione dei "Grandi" e dei mass media. I megaconcerti "umanitari" e l'insistenza mediatica di Blair per affrontare le questioni africane allo scorso G8 (forse anche per distrarre dal baratro in atto in Iraq) hanno imposto all'attenzione del mondo il continente in ombra.
Bene. Si è parlato di Africa per alcuni giorni, poi è tornata l'oscurità sui mali del continente, sulle guerre e sugli affari in corso. La cancellazione di un debito, già strapagato in interessi e risorse, non risolverà i problemi dell'Africa e nulla cambierà nella vita quotidiana dei gironi danteschi di Kinshasa, Goma e Luanda.
Si è recentemnete conclusa una missione in Gabon e Repubblica Democratica del Congo. Nel primo Paese africano, un progetto contro il gap digitale promosso da Amici della Terra e Regione Lombardia ha inaugurato un Internet Point ambientale a Libreville ed una scuola di educazione informatica a Makokou; in Congo l'associazione ProAfrica, ha costruito un ambulatorio medico a Boma e supportato alcuni laici e religiosi, impegnati in missioni difficili, a tirare avanti, con container di aiuti e fondi economici.
Il Congo sta attraversando una delicata fase di transizione democratica sostenuta dall'Unione Europea e dalla Comunità internazionale, tanto che a luglio del 2005 era presente a Kinshasa lo stesso Presidente dell'Unione, Josè Luis Barroso. Oltre gli interventi umanitari, educativi e di trasferimento tecnologico, operati da piccole e grandi organizzazioni, mi interessa fare una riflessione sul futuro della cooperazione ad un vero e duraturo sviluppo; cooperazione che dovrà vedere, si spera - con il nuovo Governo - dal 2006, il rilancio del protagonismo dell'Italia e dell'Europa. Oggi, i fondi per la cooperazione allo sviluppo sono ridotti al lumicino e rappresenterebbero una vergogna se non fossero lievitati grazie alle donazioni dei cittadini, degli Enti locali e delle imprese in seguito allo Tsunami dello scorso anno. Il rischio che deve essere evitato, è di aiutare i ricchi dei Paesi poveri.
Oggi, i protagonisti sulla scena africana, se escludiamo la meritoria opera del Sud Africa per agevolare i processi di pace in diversi Paesi, sono gli americani ed i francesi. Gli interessi di queste due potenze nel continente africano non sono di tipo umanitario. Il petrolio del Cabinda, piccola enclave angolana in Congo, è ipotecato dagli USA, mentre i francesi (Elf e non solo) tengono ben salde le redini sullo sfruttamento petrolifero (e forestale) in Gabon. Un grande Paese come il Congo, che possiede uranio, oro, diamanti, coltan (minerale super conduttore per computer e prodotti tecnologici) è alla fame.
Nei villaggi la gente non muore di fame (ma per assenza di un antibiotico o di un anti malarico, si) solo grazie alla presenza dell'acqua del fiume Congo e della foresta che produce ogni bene alimentare.
Tra l'asservimento totale di alcuni presidenti africani agli interessi di francesi e americani e la follia di capi di Stato come Costa d'Avorio e Zimbabwe che hanno aperto la "caccia al bianco", deve pur esserci una via di mezzo.
I concerti e gli impegni (quasi mai rispettati) dei G8 sono importanti, ma l'Africa ha bisogno di investimenti generosi, mirati e vincolati: vincolati a progetti specifici, alla salvaguardia ambientale, alla tutela delle ultime foreste pluviali, alla risoluzione di problemi. Qualche esempio.
Tra Matadi e Boma, nel sud del Congo sorge la mega diga di Inga che, con un investimento tecnologico e di ripristino di funzionalità danneggiate dalla guerra e dall'incuria, potrebbe produrre 100.000 megawatt di energia idro elettrica. Energia pulita e rinnovabile. L'investimento sarebbe di alcuni miliardi di dollari (un infinitesima parte di quanto speso dagli americani per la guerra in Iraq).
L'ottimizzazione della diga di Inga potrebbe fornire energia elettrica pulita a tutto il centrAfrica, risparmiando quantità enormi di petrolio e di legname (e quindi foreste), una delle fonti primarie di "energia" nei villaggi.
Perché l'Unione europea non adotta questo progetto strategico per l'area centrafricana, anziché distribuire, pur utili, aiuti a pioggia?
Oggi a Kinshasa l'energia che arriva dalla grande diga non garantisce nemmeno l'elettricità tutti i giorni e le lampadine sono tanto fioche da sembrare spente. Il "Summit della Terra" di Johannesburg e tutti i più recenti G8 hanno confermato "l'impegno del documento di Dakar per la diffusione universale dell'istruzione elementare entro il 2015" ed hanno ribadito la volontà di "perseguire l'obiettivo di estendere l'utilizzo delle tecnologie informatiche e della comunicazione per la formazione degli insegnanti nei paesi in via di sviluppo, sostenendo un piano di azione per colmare il gap digitale tra paesi ricchi e poveri". Oggi, Paesi come il Congo ed il Camerun hanno percentuali di analfabetismo che sfiorano il 70%; come sarà possibile entro 10 anni raggiungere gli obiettivi annunciati, visto che nulla si sta facendo, resta un mistero.
In Congo, come negli USA - alleato di ferro - d'altronde, si paga la sanità e la scuola. Considerando che lo stipendio mensile di un insegnante e di un poliziotto si aggira intorno ai 10 dollari, è facile immaginare come sanità e scuola rappresentino un privilegio per una minoranza di eletti.
Molto potrebbe e dovrebbe fare la chiesa che in ogni grande villaggio gestisce un luogo di culto e, molto spesso, una scuola. L'istruzione deve essere gratuita (anche quella religiosa o comunque gestita dalla Chiesa) e la prevenzione di malattie trasmissibili sessualmente, la contraccezione ed il controllo delle nascite non possono più essere considerati dei tabù.
Un preservativo, come un antibiotico o un antimalarico, in Africa, costano troppo e non sono alla portata della popolazione, che, infatti, non li utilizza. Nei villaggi non si parla né di contraccezione, né di educazione sessuale, né di prevenzione: il boom demografico e le malattie galoppano così incontrastati. Se la gente dei villaggi in Gabon vive, a differenza del vicino Congo, in una condizione di relativo benessere è, non solo per la ricchezza del Paese (petrolio, uranio, legno etc.) ma anche perchè ha una superficie grande come l'Italia senza le isole, è abitata solo da un milione e 150 mila persone. La definizione di politiche demografiche deve essere una priorità .
Nei Paesi africani vi è anche l'esigenza di far crescere una nuova classe politica e dirigente, onesta e lontana dalle corruttele che permeano molte società del continente. L'Italia che, si auspica, rivedrà la propria politica di cooperazione ed immigrazione dovrà favorire la presenza per studio e stage di giovani africani nel nostro Paese. Giovani che possano tornare in Africa con un bagaglio culturale e di esperienza utili al futuro dei propri Paesi.
Molte persone in Africa hanno necessità di recarsi in Italia ed in Europa per cure mediche ed interventi che sono impossibili nei Paesi di origine. Ma, salvo rari casi, le nostre Ambasciate nei Paesi africani, sono dei veri e propri muri di gomma che respingono casi gravi che da noi potrebbero essere guariti. Ritengo che si tratti di indicazioni precise della Farnesina e non certo della disumanità dei diplomatici italiani.
Di fatto, oggi centinaia e migliaia di bambini ed adulti, che potrebbero avere salva la vita con un intervento negli ospedali italiani ed Europei muoiono o restano infermi per colpa della xenofobia del nostro Governo e di altri governi europei che non concedono i visti. In assenza della possibilità di raggiungere le coste europee legalmente, molti cittadini dei Paesi africani si affidano ai trafficanti di persone, mettendo a repentaglio la propria vita.
Altro discorso riguarda invece il commercio dai Paesi africani verso l'Europa e gli USA. Nessun problema per quanto riguarda i prodotto "strategici" (per l'occidente) come petrolio, coltan e uranio. Ben pi๠difficile la situazione per i prodotti agricoli. L'Europa, si sa, sovvenziona generosamente la propria agricoltura inquinante e mal tollera concorrenze straniere. Ne consegue che i prodotti agricoli africani subiscono la penalizzazione dei dazi, oltre alla carenza strutturale di logistica e trasporti.
Il 50% della logistica africana si sostiene sulla Francia e sul Porto di Marsiglia e per entrare nell'UE i prodotti agricoli sono sottoposti ai dazi "Form A" ed "Eur 1". Gran parte dei carichi di mango, ananas, ocra e banane, in presenza di insetti, sono distrutti nei porti europei (o meglio, francesi) all'arrivo.
Il trasporto via nave crea enormi difficoltà alle economie africane. Sarebbe necessario creare dei corridoi aerei "verdi", incentivando il commercio ed il trasporto aereo dei prodotti, buona parte dei quali non può superare i 15 giorni di viaggio.
Ultima riflessione riguarda le democrazie africane, spesso fragili.
E' certamente utile incentivare processi transitori alla democrazia, come sta facendo l'Europa in Congo, forse più¹ discutibile consolidare rapporti politici, economici e di cooperazione con stati dove i cittadini non votano e non sono liberi o nei quali il potere è ancora saldo in mano a bande criminali, come invece sta facendo l'Italia con alcuni Paesi del Corno d'Africa.