Normativa sulla caccia
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Il fondamento della legge 157/92 sta sicuramente nell’art. 1 che stabilisce il principio secondo cui l’esercizio dell’attività venatoria è consentito, purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (secondo comma) evidenziando, in tal modo, la necessità di porre al primo posto la protezione dell’ambiente in tutte le sue forme e imponendo a carico della P.A. un obbligo di conservarla e proteggerla. Tale principio è ulteriormente rafforzato nel primo comma dell’art. 1 quando si afferma che la fauna selvatica fa parte del patrimonio indisponibile dello stato e la sua uccisione e cattura può essere autorizzata solo tramite un atto di concessione nei termini e nei modi stabiliti dallo stesso atto di concessione. In tal modo si vieta l’indiscriminata apprensione della fauna selvatica “concessa” solo a chi ha una regolare “licenza”.
La legge 157, però non dispone un elenco di specie protette mentre, all’art. 18, stabilisce quali sono le specie cacciabili in deroga ad una generalizzata protezione. Tali specie sono cacciabili sono in determinati periodi di tempo, orari e luoghi, pertanto resta vigente la generale protezione durante gli altri periodi dell’anno. In aggiunta a questo principio di protezione, però, all’art. 2 la legge vieta la caccia ad alcune specie particolarmente protette indipendentemente da qualunque ulteriore regolamentazione e la cui uccisione comporta sanzioni più pesanti rispetto alle specie protette in via generale.
In generale, a seconda degli illeciti commessi, la legge 157/92 prevede sanzioni amministrative o addirittura penali (artt. 30 e 31).
Rientrano tra le ipotesi di reato: la caccia nei periodi di divieto generale a tutte le specie, ovvero nei mesi esclusi dai calendari venatori, la caccia nei giorni di silenzio venatorio durante la stagione venatoria, la caccia o la detenzione di specie particolarmente protette o la caccia con mezzi vietati, la caccia nei parchi, l’uccellagione e la tassidermia se non autorizzata. Sono invece soggette a sanzioni amministrative: la caccia in forme non previste e senza licenza, nei fondi chiusi e nelle ore non consentite, e l’importazione di fauna senza autorizzazione e l’utilizzo di richiami non autorizzati.
Questo sistema sanzionatorio rivolto a punire le violazioni da parte di chi detiene comunque la concessione, ha grande portata ed è senz’altro innovativo, ma non tiene conto del bracconaggio, ovvero della caccia illegale.
Pertanto, mancando un’espressa menzione nella legge quadro si può considerare attuabile il riferimento al cosiddetto “furto venatorio” sulla base del fatto che la fauna è patrimonio dello stato (artt. 624 e 625 c.p.), o al danneggiamento nel caso di abbattimento della fauna senza apprensione.
Anche la giurisprudenza, nell’impossibilità di utilizzare gli artt. 30 e 31 della legge 157, ha riconosciuto che, nel caso di caccia senza tesserino o licenza si commette furto o danneggiamento ove non si apprenda l’animale ucciso o ferito (Pretura di Firenze, 29 ottobre 1993).
Per quanto riguarda la pianificazione del territorio agro-silvo-pastorale, di competenza delle regioni, nella legge 157 è disposto che una quota dal 20 al 30% del territorio (dal 10 al 20% per i comprensori alpini) venga destinato al divieto di caccia, un’altra fino al 15% alla caccia privata e il restante suddiviso , invece, in Ambiti Territoriali di Caccia. Gli ATC vengono gestiti da organi direttivi composti da rappresentanze delle associazioni venatorie, agricole, ambientali e dagli enti locali. Il fondamento della “residenza venatoria”, ribadito in un parere dell’INFS del 24.11.1999, è teso a stabilire un costante ed univoco rapporto tra il cacciatore e il territorio in cui esso esercita la sua attività con evidenti ricadute gestionali, legate alla possibilità di responsabilizzazione e coinvolgimento diretto del cacciatore anche con la partecipazione alle spese e agli interventi di miglioramento ambientali. Non essendo però fissato il tetto massimo del numero di cacciatori in ogni ATC si verifica molto spesso il cosiddetto “nomadismo venatorio” con la possibilità data a ogni cacciatore di muoversi in diversi ATC. Contro la possibilità di cacciare in vari ATC si è espresso anche il TAR Lazio con ordinanza del 27 ottobre 1999, confermata dal Consiglio di Stato, che ha annullato la delibera provinciale con cui si autorizzava la costituzione di soli due ATC nel Lazio e la possibilità di cacciare in entrambi da parte dei cacciatori iscritti nella provincia di Roma.
Se questo è l’impianto normativo della legge 157/92 per sommi punti, va comunque ricordato che in ausilio a tale legge il giudice si serve anche delle disposizioni del codice penale sul maltrattamento di animali (art. 727 c.p.) e della legge sulle aree protette (L. 394/91) nonché delle leggi che regolamentano l’ordinamento degli enti locali, ove insorgessero questioni sulle competenze in materia di caccia e protezione della fauna.
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